Sanità (programma di Riconquistare l’Italia per la Provincia di Trento)
Dal programma della lista Riconquistare l’Italia per le elezioni provinciali del 21 ottobre 2018 (candidato Presidente Federico Monegaglia).
L’operazione è perfettamente riuscita, ma il paziente è morto. È possibile congedare con questo giudizio lapidario l’opera di progressivo smantellamento della sanità pubblica, in Trentino come in Italia, in ossequio ai principi dell’aziendalizzazione, principi cardine dell’ideologia liberista che trova pieno riscontro nei trattati dell’Unione Europea il cui orizzonte ultimo è la privatizzazione finanche di beni e servizi essenziali. Una responsabilità da cui i governi provinciali che si sono succeduti nelle ultime legislature non sono esenti, essendone stati zelanti attuatori in virtù di una smania di accentramento in capo alla Provincia di una serie di funzioni di cui i cittadini avvertono invece la necessità di un forte controllo territoriale e democratico.
I proclami elettorali che si susseguono secondo i quali il Trentino si troverebbe al vertice della sanità italiana perdono completamente di senso di fronte ai dati ufficiali che mostrano un Paese al collasso: essere i primi della classe in un sistema in caduta libera è ben magra consolazione, specie osservando che i dati sulla percezione della sanità trentina mostrano una sempre maggior sfiducia nel comparto sanitario. I numeri reali rappresentano un’offerta di servizi alla salute inadeguata – per usare un eufemismo – e lesiva del prestigio di una Regione che ambisce ad essere un modello non solo a livello nazionale e che vanta, nonostante le dimensioni ridotte e la complessità geografica, uno tra i più alti PIL pro capite del Paese.
Recenti indagini dell’istituto Demoskopika mostrano una netta flessione della percezione della qualità della sanità, anche in ragione della presa in considerazione della voce “Disagio economico”; in un Trentino sempre più povero, in cui le disuguaglianze sociali sono in costante aumento mentre la fascia della popolazione che versa in condizioni di disagio si allarga continuativamente, si è risposto alla crisi — che come tutte le crisi colpisce con particolare violenza le componenti più deboli della società — con l’inasprimento degli odiosi ticket sanitari, la riduzione del numero dei medici di base, la chiusura dei punti nascita e la riduzione della guardia medica. Interventi spesso presentati sotto nomi altisonanti quali razionalizzazione, efficientamento, controllo, autonomia, ma che in realtà sottendono a esigenze di bilancio e spingono sempre più nella direzione di una privatizzazione del comparto sanitario, uno dei più sicuri e redditizi per l’investimento dei capitali privati. Citando il compianto economista Federico Caffè, “al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili”. Il contraltare di questo rispetto ossequioso dei principi contabili è rappresentato dall’analisi impietosa dei dati sulle performance del sistema sanitario, che evidenzia i costi sociali di questa operazione di “razionalizzazione” che, come siamo ormai abituati a constatare, si è concretizzata nei tagli operati sulla spesa pubblica. Questi costi sono gravati di nuovo sui cittadini, in termini di fruizione del diritto alla salute e alla parità di trattamento costituzionalmente garantiti, e sotto il profilo economico, incidendo sul reddito disponibile delle famiglie che si sono dovute rivolgere in misura via via maggiore agli erogatori privati.
Questo a tutto vantaggio, chiaramente, dell’offerta privata che “integra” l’erogazione dei servizi, consentendo ai cittadini che hanno capacità economica di godere di prestazioni sanitarie tempestive e di qualità e condannando gli incapienti e i meno abbienti all’abbandono. Il risultato è un diritto alla salute garantito a intermittenza e a macchia di leopardo, con crescenti disuguaglianze territoriali e una polarizzazione dei servizi, che vede il pubblico retrocedere progressivamente ed occupare sempre più un posto di offerta residuale per i meno abbienti ad evidente vantaggio del privato.
Nel Trentino, come nel resto del paese, assistiamo al progressivo disfacimento di quello che fino a qualche anno fa era considerato il sistema sanitario più avanzato del mondo. Anche le dinamiche occupazionali sono eloquenti e rappresentano chiaramente il dissolvimento della sanità italiana: negli ultimi otto anni il comparto sanitario ha perso 45.000 unità tra personale medico e infermieristico, 15.000 solo tra il 2014 e il 2016 (fonte Ragioneria Generale dello Stato). Questo arretramento progressivo e inesorabile è il frutto di politiche di contenimento della spesa che sono rivolte evidentemente a virare verso un modello sanitario sempre più “statunitense”, con una polarizzazione dell’offerta che promuove un sistema pubblico rivolto agli indigenti e un parallelo sistema di erogazione privata che offre il diritto alla cura tempestiva e qualitativa previo pagamento. È un modello che trova nell’Unione Europea il più agguerrito sponsor, che attraverso i Trattati che hanno promosso la costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio, impone lo Stato minimo e la privatizzazione dei servizi essenziali in un continente che è stato la culla dello stato sociale. Riconquistare l’Italia si oppone alla deriva mercatista sancita dai Trattati europei e rifiuta l’idea che la presa in carico e la cura dei cittadini debbano essere considerate attività lucrative a tutti gli effetti. Le manifestazioni di giubilo per i risultati di bilancio conseguiti, che dimostrano di ignorare le necessità reali della popolazione e glissano sugli effetti nefasti di questi continui tagli, sono inquietanti e rivelano la totale assenza di interesse per il benessere della collettività manifestata da questa classe dirigente votata alla realizzazione di un gigantesco piano di smantellamento dello stato sociale e di sostituzione dei servizi pubblici con ingenti capitali privati. Un piano di smantellamento dei diritti fortemente sostenuto dai portatori di interesse della finanza internazionale e dell’industria farmaceutica che lavorano strenuamente negli uffici delle lobby a Bruxelles.
Sarà necessario rifiutare i condizionamenti e i vincoli che impongono l’arretramento dell’ente pubblico, riconsegnare dignità alle strutture pubbliche relegando l’offerta privata ad una quota sempre più marginale dell’erogazione complessiva e non viceversa, riprogrammare un piano di assunzione, formazione e valorizzazione del personale, rimettere la sanità pubblica al centro. È necessario fare il punto della situazione, tirare le somme di quanto fatto e quanto ottenuto negli ultimi venticinque anni e avviare una stagione di controriforme che pongano di nuovo al vertice dell’ordinamento la Costituzione Italiana e non i Trattati europei. È un passo ineludibile se si vuole riportare il paese su un orizzonte di crescita economica socialmente sostenibile.
La tutela della salute come diritto dell’individuo e della collettività (art. 32 Costituzione) deve dunque tornare ad essere declinata secondo i principi scolpiti nella legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (n. 833/1978): Universalità della copertura, Globalità delle prestazioni erogate, Equità del finanziamento, Controllo democratico da parte dei cittadini, Unicità di gestione e Proprietà prevalentemente pubblica dei fattori di produzione. A questo fine proponiamo i seguenti punti programmatici:
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l’Universalità della copertura è strettamente legata all’Equità del finanziamento, che va garantita a livello generale attraverso un sistema fiscale altamente progressivo e a livello provinciale tramite l’eliminazione dei ticket sanitari e l’adeguamento quantitativo del personale sanitario alle effettive esigenze di cura della popolazione, pena la rinuncia alle cure di una parte della stessa e la migrazione verso la sanità privata di una parte ancora, anche per il conseguente allungamento delle liste di attesa; la chiusura di punti nascita periferici e la compressione dell’esercizio della guardia medica, da questo punto di vista, sono inaccettabili;
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la Globalità delle prestazioni erogate richiede di ampliare lo spettro delle prestazioni attualmente previste dal sistema sanitario includendovi in particolare le prestazioni odontoiatriche, oggi in gran parte escluse, e finanziando i fondi sanitari provinciale e nazionale secondo necessità; i maggiori fondi dovranno essere indirizzati non solo verso la cura, ma anche a beneficio della medicina sociale, della prevenzione e della riabilitazione, in modo da negare quel modello ad elevata intensità di cura che tende ad affermarsi anche nel nostro Paese;
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il Controllo democratico da parte dei cittadini richiede il ritorno ad un modello decentrato sui Comuni e i loro consorzi invece che sulle Regioni e Province, in cui all’azienda sanitaria provinciale dovranno subentrare le Unità Sanitarie Locali, con elezione da parte del consiglio comunale di un comitato di gestione per ogni Usl al posto dell’attuale manager monocratico nominato dall’assessore regionale alla sanità;
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l’Unicità di gestione e la Proprietà pubblica dei mezzi di produzione sanitari richiedono realisticamente uno spiazzamento graduale del settore privato, che non passa soltanto per il semplice aumento dei fondi pubblici al SSN, di per sé necessario, ma anche e soprattutto per la negazione del principio di concorrenza inoculato nel sistema dalla riforma Amato del 1992 (con successive integrazioni); in particolare occorre: 1) tornare alle Usl (Unità sanitarie locali), abbandonando le Asl (Aziende sanitarie locali, in Trentino APSS) e le Ao (Aziende ospedaliere), con tutte le conseguenze gestionali ed economico-patrimoniali che ciò comporta; 2) tornare ad un modello ‘integrato’ nel quale le Usl eroghino direttamente la grandissima parte delle prestazioni sanitarie, sostituendo il rampante modello ‘contrattuale’ nel quale, al contrario, le Asl si comportano da semplici committenti di erogatori pubblici e privati in reciproca competizione per i pochi fondi pubblici ormai a disposizione; 3) rivedere in termini progressivamente più restrittivi i regimi di libera professione ed intramoenia oggi concessi ai medici dipendenti del SSN; 4) abolire il rimborso a tariffa delle prestazioni erogate dalle strutture ospedaliere pubbliche e private tornando ad un rimborso a piè di lista, per evitare che il rimborso standard oggi previsto (calcolato, come nel modello americano, in base alla diagnosi con la quale il paziente viene dimesso dall’ospedale) incentivi gli erogatori a ridurre i costi per lucrare la differenza tra la tariffa comunque percepita e la spesa effettuata; 5) rivedere in senso progressivamente più restrittivo i criteri con i quali si concede l’accreditamento alle strutture private.
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